Nascita ed evoluzione dell’approccio sistemico-relazionale

Il contesto socio-culturale e storico che vide emergere il modello relazionale-sistemico (siamo in America negli anni ’50) fu caratterizzato dall’esigenza di dare una veste scientifica alla psicologia, al pari delle cosiddette scienze “esatte”.
Tale modello, inizialmente, si contrappose alla metodologia psicoanalitica, che ispirava la quasi totalità degli interventi clinici. I terapeuti familiari di orientamento sistemico misero da parte di termini quali: individuo, inconscio, contenuti intrapsichici, transfert-controtransfert; ovvero di ogni termine che non fosse legato alle dinamiche di un gruppo o a ciò che poteva essere osservabile.

Si assistette al superamento della settorializzazione e al recupero di un approccio olistico allo studio dell’uomo. L’attenzione si spostò dai fattori intrapsichici a quelli interpersonali, con una maggiore attenzione ai contesti socio- culturali nei quali l’individuo vive studiando le influenze della famiglia sullo sviluppo della personalità. E’ importante notare che l’incontro tra una prospettiva sistemica e lo studio della famiglia è stato favorito dell’emergere di due linee teoriche: la ‘Teoria generale dei sistemi’ di Von Bertalanffy (1969) che si occupava della struttura dei sistemi e la Cibernetica di Wiener (1948) che si occupava dei processi insiti nel sistema stesso.

La teoria generale dei sistemi nacque dalla necessità di superare un modello meccanicistico di causalità lineare, a favore di una causalità circolare che potesse rendere ragione delle complesse interazioni tra le parti di un sistema nelle loro connessioni reciproche. Per sistema si intende qualunque entità le cui parti, in relazione tra loro, interagiscono l’una con l’altra, in modo tale che l’intero è più e diverso dalla somma delle singole parti. Qualsiasi cambiamento in una delle parti influenza la globalità del sistema. Gli studiosi delle relazioni rivolsero il loro interesse alla Teoria dei Sistemi perchè constatarono che anche l’interazione umana si organizzava secondo i criteri e le modalità di un sistema. In particolare la famiglia poteva essere vista come un sistema dotato delle seguenti caratteristiche:

  • non sommativitàla famiglia come sistema che scaturisce dalla interconnessione dei membri e diverso dalla somma delle parti;
  • causalità circolareogni azione comunicativa è anche una reazione all’insegna di un complesso e costante processo di influenzamento reciproco;
  • equifinalitàle condizioni iniziali di un sistema non determinano rigidamente il suo stato finale;
  • omeostasiil sistema familiare attua meccanismi stabilizzatori attraverso catene di feedback ricorsivi che tendono a riportare i comportamenti entro una fascia contenuta di oscillazioni e ad evitare cambiamenti percepiti come destabilizzanti;
  • morfogenesila famiglia possiede la capacità di produrre cambiamenti organizzativi stabili e profondi, che permettono ad una specie di adattarsi a mutate condizioni ambientali;
  • morfostasiil sistema mantiene la costanza difronte alla mutevolezza ambientale.

Wiener, inoltre, riconobbe che la comunicazione e l’autoregolazione attraverso la comunicazione sono requisiti essenziali per l’operatività dei sistemi. L’informazione riguardante i risultati delle attività passate è riportata nel sistema, influenzando così il suo comportamento futuro. Questo processo è definito “retroazione autocorrettiva”. La Cibernetica, definita come lo studio della comunicazione e del controllo nell’animale e nella macchina, si occupava dei processi sia tra i sistemi sia tra le parti di un sistema. Il concetto di retroazione (feedback) fu il più importante per la teoria della famiglia: “la peculiarità delle unità di un sistema cibernetico è di non essere semplici emittenti o bersagli di una comunicazione, ma di dare e ricevere sempre un messaggio di ritorno nei confronti del messaggio emesso o ricevuto. Il messaggio in questo modo, ritorna sempre all’emittente modificandolo”. Se in un sistema prevale la retroazione negativa il sistema tende alla stabilità, se prevale la retroazione positiva tende alla instabilità e al cambiamento.

L’introduzione della prospettiva sistemica allo studio della famiglia si deve, in particolare, al gruppo di Palo Alto (Watzlawick, Jackson, Haley). Per questi autori la chiave di accesso alla famiglia, vista come sistema autocorrettivo tendente alla omeostasi, è data dal disagio psichico individuale letto nei termini di una distorsione del comportamento comunicativo. In questa ottica, si cerca di abbinare una specifica sintomatologia ad un certo modo di comunicare, e l’obiettivo terapeutico diviene quello di aiutare le persone a comunicare meglio. Viene elaborato il concetto di “doppio legame” (Bateson et al. 1956), inteso come comunicazione disfunzionale tipica delle relazioni diadiche, nel tentativo di spiegare i disturbi psichiatrici come la schizofrenia. Il doppio legame si basa su una comunicazione a più livelli per cui una richiesta esplicitamente formulata ad un livello viene contraddetta ad un altro.

La condivisione di queste idee non portò, però, ad un modello concettuale e operativo comune, ma dagli anni 60 cominciarono a delinearsi due approcci allo studio della famiglia. In California, a Palo Alto, i “puristi dei sistemi”, si focalizzarono sullo studio dei primi assiomi della comunicazione umana, sulla teoria del “doppio legame” e sull’osservazione dei contesti in cui avviene la comunicazione. Veniva data attenzione alle interazioni e comunicazioni osservabili nei sistemi familiari, nel qui ed ora, valorizzando il presente. L’individuo era considerato impenetrabile nella sua soggettività, nei suoi pensieri, nelle sue emozioni e motivazioni, in quanto non osservabili e la famiglia veniva studiata come sistema di interazioni senza considerare le risonanze emotive.

Nella zona di New York e Filadelfia, invece, teorici della prospettiva evolutiva mantennero una continuità con la tradizione psicoanalitica, prestando attenzione anche agli aspetti soggettivi e storici della famiglia e valorizzando anche lo sviluppo individuale (differenziazione del sè, trasmissione intergenerazionale, lealtà invisibili). Questi autori usavano la propria personalità, incluso l’istinto e la creatività, per creare uno spazio condiviso con la famiglia, permettendo a ciascuno di approfondire la conoscenza di sè. L’approccio sistemico-relazionale, in generale, ha costruito la sua metodologia clinica intorno all’idea che il disagio psichico può essere colto attraverso l’osservazione delle relazioni umane, in particolare quelle che vengono a costituirsi all’interno del nucleo familiare. Per cui il paziente non è colui che esibisce il sintomo, ma, paradossalmente, è esso stesso un ‘sintomo’: quello di una famiglia disfunzionale. Ciò che è osservabile nel qui e ora porta scritto la storia del disturbo ed è il terreno su cui intervenire per produrre il cambiamento terapeutico.

Sulla base di tali premesse generazioni di terapeuti familiari hanno iniziato ad analizzare il comportamento sintomatico, proponendo diverse ipotesi esplicative, differenziando interventi clinici e fondando diverse scuole.  Ma la necessità di differenziarsi e le difficoltà incontrate nell’introdurre elementi estremamente innovativi nel panorama epistemologico e terapeutico hanno contribuito, in questa prima fase, a non prendere in considerazione aspetti rivelatisi successivamente cruciali. Mi riferisco ad esempio al rifiuto della terapia individuale, alla negazione del significato dei vissuti emotivi, all’estremizzazione del concetto di ‘hic et nunc’ con la conseguente disattenzione per gli aspetti storici ed evolutivi dei sistemi analizzati. Già da molti anni è in corso una riflessione epistemologica di vasta portata che ha recentemente orientato i terapeuti familiari a rivalutare l’individuo come un sistema, dotato di caratteristiche strutturali ed organizzative leggibili secondo un paradigma sistemico. La riscoperta dell’individuo ha determinato la riscoperta di sentimenti ed emozioni.

L’incontro tra due o più persone, quale è quello tra terapeuta e pazienti, determina un contesto a forte valenza emotiva in cui emergono sentimenti e bisogni personali e che, nel tempo, va a costituire un campo emotivo che vincola terapeuta e pazienti. Attualmente, l’intervento terapeutico nella logica socio-costruzionista e narrativa avviene attraverso l’incontro tra i sistemi emotivi di significato e le narrazioni dei pazienti e dei terapeuti i quali, nella conversazione, stimolano la ricerca di connessioni, significati, chiavi di lettura alternative sollecitando la costruzione di un quadro narrativo nuovo. Ascoltare emozioni evoca emozioni, dunque il terapeuta è coinvolto nel processo terapeutico al pari del paziente, sebbene le parti siano caratterizzate da competenze specificamente differenti; per cui il processo terapeutico diviene un contesto di incontro e di costruzione comune di esperienza. Si ha quindi il passaggio alla Seconda Cibernetica per cui ha l’attenzione viene rivolta verso la soggettività individuale: scopi, sentimenti, credenze, emozioni dell’individuo all’interno del suo sistema culturale vengono rivalutali.

L’osservatore diviene parte del sistema osservato, i concetti di obiettività e certezza vengono superati in quanto illusori, riscoprendo la dimensione soggettiva della conoscenza.

Attualmente esistono diversi modelli teorici di terapia familiare. Essi differiscono per vari aspetti, ma sono tutti di natura sistemica in quanto riconoscono una stretta interconnessione tra fenomeni individuali, sociali e familiari. Nei prossimi articoli cercherò di descrivere i tratti salienti di cinque modelli teorici che hanno attirato maggiormente il mio interesse ed a cui faccio costantemente riferimento nella pratica clinica: il Modello Sistemico della scuola di Milano, il Modello Strategico, il Modello Strutturale, il Modello Transgenarazionale di Bowen e il Modello Simbolico-Esperienziale.

 

Bibliografia

Bateson G., Jackson D.D., Haley J. and Weakland J., Toward a theory of Schizophrenia. Behavioral Science, 1956.

Bertalanffy L.Von, General System Theory. Braziller, New York, 1969.

Haley J., Uncommon therapy: the psychiatric techniques of Milton H. Erickson. MD Norton, New York, 1973.

Watzlawick P., Beavin J.H., Jackson D.D., Pragmatica della Comunicazione Umana. Roma, Astrolabio, 1971.

Wiener N., Cybernetics, or control and communication in the animal and the machine. MIT Press, Cambridge,1948.

 

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